L’Illuminismo, o secolo dei Lumi, fu un vasto movimento spirituale (di cultura), nato in Inghilterra nel XVII secolo e diffusosi poi in Francia e nel resto del continente, che si caratterizzò per la totale fiducia nella ragione e nella sua capacità di emancipare l’umanità dal fanatismo religioso e soprattutto di liberarla dall’ignoranza e dalle superstizioni. Nel settecento, alcune realtà massoniche in Europa inserirono i principi illuministi all’interno dei loro rituali, snaturandone le origini esoteriche e iniziatiche. In questi casi, il rituale, strumento indispensabile in un’organizzazione iniziatica, è stato a poco a poco svuotato del suo vero significato simbolico e sostituito da memorie e interpretazioni caratterizzati da una desolante banalità e da un piatto moralismo, secondo il gusto del “secolo dei Lumi.” Il Grande Oriente di Francia, ad esempio, e quella che più assorbì gli ideali illuministi, al punto da arrivare a togliere dai suoi rituali, nel 1877, qualsiasi riferimento al Grande Architetto dell’Universo. Per il Grande Oriente di Francia il perfezionamento personale consiste nell’insegnare agli uomini a parlare in pubblico, a essere tolleranti, a dibattere liberamente, a votare e a comportarsi con moderazione. Ma allora quale necessità c’è di consacrare Templi e Logge, indossare paramenti, creare rituali e simbologie con profondi significati esoterici e filosofici, solo per raggiungere propositi che qualsiasi associazione può promuovere? Su Cagliostro si è scritto tantissimo, di tutto e di più. Alchimista, guaritore, veggente ma anche avventuriero, ciarlatano, impostore. Ma chi fu il conte Cagliostro? E davvero si chiamò Cagliostro e fu conte? Ancora oggi, dopo che, per secoli, fiumi d’inchiostro ne hanno alimentato il mito, permangono tanti enigmi sulla sua figura e sulla sua vita. Su una cosa Cagliostro ebbe ragione: “La verità su di me non sarà mai scritta, perché nessuno la conosce”.
Ed è stato proprio durante questa ricerca della verità, che il mio cuore ha sentito la sua anima e mi ha parlato, come se dovesse ancora liberarsi da quelle catene, che lo tenevano imprigionato nella fortezza di San Leo.
“Caro Drakonero, fratello mio, Voi non sapete cosa era nel settecento la vostra terra natia. Violentata da ciò che gli storici definiscono l’età dei Lumi. Illuminata dalla fanatica ricerca della verità attraverso la ragione. Dio ci scampi!”
”…ma Gran Maestro sostenevano la tolleranza e la pacifica convivenza tra le diverse religioni”.
“Menzogne! Rammentate che Dio non interviene nelle vicende umane, è l’architetto del mondo, ma non interviene. Sappiate che la tolleranza, quella che vi hanno tramandato i vostri padri non esisteva. Vigea una grande ostilità verso le religioni e i riti di magia, animate da sentimenti critici verso il passato e di apertura verso le conquiste scientifiche. Affidarsi alla ragione significava respingere il valore della tradizione ”.
“Ma… Gran Maestro, era il libero pensiero, il cosiddetto libertinismo che proponeva anche, grazie alla ragione, che gli uomini potessero ricercare la felicità e migliorare la società”.
“Taci insulso uomo! Inquisitori e giuristi, teologi e giudici, dilagava la Santa Inquisizione; la Chiesa condannò l’Illuminismo e gli illuministi con i preti e sacerdoti, alimentarono i processi alle streghe! Che mai volete sapere voi! Fummo anche costretti a riunirci di nascosto.
“Permettetemi di dissentire. Mi presento sono Lorenza Feliciani, contessa di Cagliostro, moglie di Alessandro conte di Cagliostro. Per comprendere chi fu mio marito e quale fu la sua missione per l’umanità, bisogna saper cercare la verità. La storia è avvelenata tra le trame di un potere che ha tentato di demolire la sua autenticità. E costui che parla non è il mio amato. Il Compendio (vedi nota 1) che Voi Milord state leggendo, è un’opera denigratoria costruita ad arte dal monsignor Barbieri. E, su queste errate rilevazioni si basano le accuse di impostura rivolte al vero Cagliostro che, in realtà, fu un grande iniziato”.
“Mia contessa, il Compedio è stato utilizzato da scrittori e biografi del mio secolo”.
“Milord, esiste una fonte più veritiera, è una raccolta di scritture legali, il Fondo Vittorio Emanuele 245 (vedi nota 2). E’ un documento composto da 800 carte. Questa raccolta contiene preziose informazioni su quanto era emerso dall’istruttoria a carico di Cagliostro e altri documenti di grande interesse”.
E così, la mia ricerca si è orientata sul Fondo Vittorio Emanuele 245 e ho potuto constare che purtroppo la storia ci ha consegnato una verità volutamente distorta. Ancora oggi, la maggior parte delle persone, credono che Cagliostro sia stato Giuseppe Balsamo, che era un imbroglione usato dall’inquisizione per condannare e offuscare la sua figura. Cagliostro è l’ultimo grande perseguitato a non rinnegare le proprie idee, a non piegarsi alle torture e alle umiliazioni (altri hanno ritrattato: Cagliostro e Giordano Bruno NO).
Per questo durante la sua vita e dopo la sua scomparsa, è stata montata la più grande congiura e la più grande montagna di calunnie. Anche la sua storia è stata falsificata, Cagliostro è stato uno dei più grandi geni che l’umanità ha mai avuto, fu il fondatore e Maestro della scuola iniziatica Antlidea, la Massoneria egizia, i cui pilastri della legge universale: Giustizia, Pace e Amore erano l’iniziazione e il gradino più importante da realizzare. Ereditò il segreto della trasmutazione operò in tutta Europa distaccandosi dalle corrotte associazioni del tempo, affermando che la vera massoneria era quella antica, quella che innalzava lo spirito ai valori dell’imponderabile. Quindi, per screditare la sua personalità, fu tessuta una grande congiura e gli fu affiancata la figura di Giuseppe Balsamo. Balsamo fu pagato per recitare, con sua moglie Serafina, il ruolo di Cagliostro e della Lorenza Feliciani. La messinscena trasse inganno molti all’epoca, (Giacomo Casanova, lo scrittore e poeta Goethe e tanti altri) che conobbero Balsamo e sua moglie e, credettero di aver incontrato il Conte Cagliostro e la sua Lorenza.
Ma come Cagliostro, anche Balsamo fu imprigionato a Roma, a Castel Sant’Angelo, e quando non servì più, fece la sua fine insieme alla sua compagna Serafina. Così Cagliostro subì l’eredità dell’impostore Balsamo e con il duplice nome fu messo in carcere nella prigione papalina di San Leo di Montefeltro. L’Opera di Cagliostro volta alla trasformazione interiore, attraverso una perfetta conoscenza delle leggi dello spirito, fu accompagnata e sostenuta da altri grandi personaggi come il filosofo e moralista Voltaire, il conte di Saint Germain e dal suo discepolo Louis Claude de Saint-Martin. Con il proprio impegno e la propria conoscenza, Cagliostro cercò di dare vita a una grande e unica fratellanza, ma non vi riuscì. E allora portò avanti il suo rito collegato ai veri valori esoterici e, attraverso un lavoro potente e solitario, riuscì con l’alchimia a penetrare i grandi segreti dei grandi iniziati.
A Roma, Cagliostro fu consigliere di Papa Clemente XIII. Il Conte aveva libero accesso alle stanze papali. Spesso consigliava il pontefice anche su affari interni della Chiesa, tant’è che fu introdotto alla corte di grandi personaggi del papato dal Gran Maestro dell’Ordine di Malta, Manuel Pinto de Fonseca. La sua fama di guaritore e benefattore si sparse ovunque e non chiedeva niente a nessuno. Non vi è, infatti, a suo carico nessuna accusa di speculazione.
Cagliostro guariva imponendo le mani, come un pranoterapeuta senza uso di altri strumenti, ma fu anche un operatore dalle capacità ipnotiche e magnetiche.
Il Papa tentò di liberarsi definitivamente del personaggio scomodo di Cagliostro e quando fu condannato il 7 aprile del 1790, fece bruciare pubblicamente in piazza della Minerva tutti i suoi simboli, rituali e vari documenti. Trattenuto nelle carceri di Castel Sant’Angelo sotto stretta sorveglianza, Cagliostro attese per alcuni mesi l’inizio del processo. Al consiglio giudicante, dunque, presieduto dal cardinale segretario di Stato Zelada, egli appare colpevole di eresia, massoneria e attività sediziose.
Quando la condanna fu tramutata in carcere a vita, fu trasportato nella prigione papalina di Montefeltro. Cagliostro non poté più uscire, finché, dopo alcuni anni, al mattino presto, le guardie si accorsero che dalla cella – per quanto murato vivo, imprigionato e legato al muro attraverso una catena – Cagliostro era scomparso. Temendo per la sua testa il governatore fece uccidere un altro prigioniero. Lo sventurato venne sepolto in un luogo segreto in terra sconsacrata affermando che Cagliostro non aveva mai voluto né confessarsi né redimersi, mentre in realtà non era così. E in questo lo dimostra la scrittura ritrovata nella cella, che lui aveva fatto con il proprio sangue e con un pelo della sua barba che era una invocazione alla Madre Celeste di cui era devotissimo. La congiura riuscì anche perché vi erano troppe teste in ballo compresa quella dell’arciprete Marini che redasse il falso atto di morte, affermando che Cagliostro era morto per un colpo apoplettico, quindi il cardinale Zelada credette alla messa in scena e se ne tornò a Roma.
Ma Cagliostro non era morto ci sono lettere da San Leo inviate ai fratelli della Loggia di Lione, nelle quali si parla di fatti avvenuti dopo la data della sua presunta morte, tra cui la descrizione di un terremoto che colpì San Leo. Poi fu visto a Malta, Strasburgo a Parigi il giorno stesso della presa della Bastiglia come fu visto il conte di Saint Germain anch’egli, allora, non più presente nel mondo fisico.
Qualche riga dal memoriale di Cagliostro, per comprendere bene la sua natura: “Io non sono di nessuna epoca e di nessun luogo, al di fuori del tempo e dello spazio, il mio essere spirituale vive la sua eterna esistenza e se mi immergo nel mio pensiero rifacendo il corso degli anni, se proietto il mio spirito verso un modo di vivere lontano da colui che voi percepite, io divento colui che desidero. Partecipando coscientemente all’essere assoluto, regolo la mia azione secondo il meglio che mi circonda. Il mio nome è quello della mia funzione e io lo scelgo, così come scelgo la mia funzione, perché sono libero; il mio Paese è quello dove fermo momentaneamente i miei passi. Io non sono nato dalla carne, né dalla volontà dell’uomo, sono nato dallo spirito. Il mio nome, che è mio, quello che scelsi per apparire in mezzo a voi, ecco quello che reclamo. Quelli che mi sono stati dati alla mia nascita o durante la mia giovinezza, quelli per i quali fui conosciuto, sono di altri tempi e luoghi; li ho lasciati, come avrò lasciato domani dei vestiti passati di moda e ormai inutili. Tutti gli uomini sono miei fratelli, tutti i paesi mi sono cari, io li percorro ovunque, affinché lo spirito possa discendere da una strada e venire verso di noi. Io non domando ai Re, di cui rispetto la potenza, che l’ospitalità sulle loro terre e, quando questa mi è accordata, passo facendo attorno a me il più bene possibile: ma non faccio che passare. Sono un nobile viandante? Come il vento del Sud, come la splendente luce del mezzogiorno che caratterizza la piena conoscenza delle cose e la comunione attiva con Dio, così io vado verso il Nord, verso la nebbia e il freddo, abbandonando ovunque al mio passaggio qualche parte di me spendendomi, diminuendomi in ogni fermata, ma lasciandovi un po’ di luce, un po’ di calore, fino a quando io non sia infine arrivato e stabilito al termine della mia carriera: allora la rosa fiorirà sulla croce”.
Dunque gli atti del processo non sono mai stati resi noti e in realtà si ritiene che egli non sia mai morto ma asceso, come fanno molti maestri che conosciamo. A chiunque si chiedesse perché Cagliostro fu imprigionato come un mortale la risposta è che ancora non siamo in grado di comprendere gli alti disegni divini, che consentono – grazie al sacrificio di grandi maestri come lui – di donare all’umanità luce e consapevolezza.
Concludo con una riflessione sul simbolo magico di Cagliostro, che era racchiuso nel suo sigillo rappresentato da un serpente dritto sulla coda nell’atto di mordere una mela, mentre è trapassato da una freccia verso il basso che lo fa sanguinare. Alcuni studiosi ritengono che il Grande Cofto, giunto ai massimi gradi delle società iniziatiche, abbia condensato tutta la propria conoscenza. Sono molte le interpretazioni date a questa forma simbolica.
Alcuni, ad esempio, la interpretano come raffigurazione della realizzazione iniziatica: il serpente, forma terrena ed involuta, conquista il frutto della conoscenza e di conseguenza muore, rinascendo a nuova vita più evoluta. Nella tradizione segreta, il serpente simboleggia la S, mentre la freccia la I. Sono le iniziali di Superiore Incognito, uno dei gradi massimi delle società segrete iniziatiche.
C’è poi un legame con il serpente tentatore dell’Eden, che ha afferrato la mela – frutto dell’albero della Conoscenza del bene e del male – ma non può morderla, perché la forza divina lo trafigge. Questo stesso serpente è messo ai piedi della Vergine Purissima, perché la verginità e la purità lo condannano all’immobilità e lo dominano completamente.
Secondo la Bibbia, il serpente di bronzo rappresenta un dio pagano a forma di serpente che rese onore a Mosè e che trovò posto nel mitico tempio di Salomone. Mosè e Salomone sono due punti fermi per la dottrina cagliostriana del rito egiziano. Cagliostro collegava anche le sette spire del serpente arrotolato su se stesso ai 7 metalli, alle 7 note, ai 7 colori, ai 7 pianeti ma poi per il Conte le 7 spire non sono altro che le sette sfere planetarie che l’anima deve superare per giungere all’immortalità.
In questo simbolo sono raffigurati i quattro elementi della filosofia antica: la terra rappresentata da un piccolo lembo di spiaggia, l’acqua dall’onda marina, l’aria dal cielo nuvoloso del paesaggio, il fuoco da un serpente dalla forma sinuosa, il cui profilo s’innalza in mezzo ai flutti. Ad un primo esame possiamo quindi vedere nel sigillo la materia nella sua faticosa ascesa verso l’integrale purezza, passando dalla forma compatta e solida (terra) alla forma liquida (acqua), e poi allo stato gassoso (aria) ed allo stato raggiante (fuoco).
Ma è la forma sinuosa del serpente, oltre alla freccia e alle gocce di sangue, che fa assumere al nostro sigillo un significato esoterico ancora più profondo. In effetti, il serpente e la freccia danno all’osservatore l’idea di una clessidra, che appare quasi vuota: restano soltanto due gocce di sangue e una terza è raffigurata solo per metà e tutte insieme sembrano indicare che il tempo stabilito è ormai trascorso.
Il sigillo di Cagliostro potrebbe, dunque, essere anche interpretato come un enigmatico messaggio lasciato ai posteri sul destino che attende l’umanità e, in cui, il grande avventuriero volle fissare, come in un istante, l’inesorabile marcia del tempo concesso agli uomini per redimersi.
Ma il nostro sigillo può trovare anche una spiegazione come simbolo più strettamente alchemico. Il Serpente è allora l’ideale rappresentazione del principio alchemico primordiale, detto anche mercurio iniziale, che è scorrevole come l’acqua e come questa serpeggia. A livello di terminologia spagirica, nel lavoro chimico la freccia – emblema del fuoco segreto – assume il ruolo dell’agente maschio che penetra la materia grave o femmina. Con questi due elementi, il serpente e la freccia, Cagliostro potrebbe aver voluto dunque simboleggiare nel suo sigillo nient’altro che la femmina e il maschio, che insieme all’acqua magica formano i tre grandi protagonisti della Grande Opera alchemica, la cui perfetta conoscenza fornisce all’uomo i tre doni inestimabili: sapienza, salute e ricchezza.
Note
[1] Compendio scaricabile gratuitamente
https://books.google.it/books/about/Compendio_della_Vita_di_Giuseppe_Caglios.html?id=J-Y5AAAAcAAJ&redir_esc=y
[2] La fonte più cospicua di notizie intorno a Cagliostro e specialmente intorno al processo fattogli in Roma per opera del S. Uffizio è costituita dalla: Raccolta di scritture legali riguardanti il processo di Giuseppe Balsamo detto Alessandro Conte di Cagliostro e di P. Francesco Giuseppe da S. Maurizio Cappuccino, innanzi al Tribunale del S. Uffizio di Roma (Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele di Roma. Manoscritto Fondo Vitt. Emanuele 245, di quasi carte 800).
Non si tratta dei veri e propri atti del processo, con i verbali degli interrogatori dei testimoni e degli imputati e via dicendo; ma di un voluminoso incartamento, compilato nel 1790 per uso forse del tribunale stesso, e contenente l’essenziale di quanto dall’istruttoria era emerso, nonché le perizie, l’accusa, le difese e molti documenti di grande interesse. L’esistenza di questo manoscritto fu per la prima volta segnalata nel 1881 da Alessandro Ademollo nel N. 175 della «Rassegna Settimanale» VII (1881); e quattro anni dopo esso venne acquistato dallo Stato.
Bibliografia: Giuliano Falciani, Cagliostro un personaggio scomodo. Massimo Agostini, Nel Nome della Dea Sulle tracce dell’Antica religione Gervaso Roberto, Il Grande Mago. Carpi Pier, Cagliostro, Il maestro sconosciuto Gian Luigi Berti, La misteriosa moglie di Cagliostro